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FaQ

Su Carlo Magno pensava a ben altro

Sono tutte domande che mi sono state rivolte sul testo e, dal momento che potrebbero interessare a qualsiasi lettore del libro, le posto qui, man mano arrivano.


Ieri sera l'ho finito! Posso essere brutale?

Perchè? Parlami dolcemente, invece!
 

Sono tutte CANON, quelle coppie?

...canon? Le coppie che hai trovato nel libro?
No.
Nel senso, deriva da un poema epico cavalleresco CRISTIANO. E dell'undicesimo secolo.
Nemmeno il sesso etero era canon!

Si tratta di un romanzo storico e/o realistico?

Non è un racconto storico. Per i racconti storici c'è Piero Angela.
Non è un racconto realistico. Il realismo è noioso.
Parte dalla Chanson de Roland, un poema epico - già poco verosimile di suo, ma a chi importa? L'epico trascende ogni realismo e verosimiglianza - di bellezza struggente.
Togli le relazioni amorose e le caratterizzazioni psicologiche dei personaggi: tutto quello che hai letto ad eccezione di questo, avviene davvero nel poema. Ho rispettato ogni azione per inserirla in un ambientazione storica coerente per fatti e avvenimenti.

Parla di omoerotismo maschile: è descritto realisticamente?
NON DICO che l'elemento omosessuale sia da bandire, per carità. D'altra parte, nel contesto di un esercito, mi sembra sia abbastanza condivisa l'idea dell'omosessualità come latente... ma dico latente. Da lì a esplicitarla c'è un balzo, e la cosa che mi perplime è il fatto che TUTTI zompino TUTTI indiscriminatamente, e - apparentemente - senza porsi alcun problema in tal senso.

Non è una storia di amore omosessuale: in tal caso ambientarla nel 2010 sarebbe stato più facile, più accessibile a livello di informazioni, più gestibile.
I personaggi della Chanson si muovono portati dalle passioni e dalla fede, anche quando, palesemente, ciò va contro il loro interesse.
Mi sono innamorata del loro sentire furibondo quando avevo dodici anni e non mi è più passata. Nella mia elaborazione ho voluto recuperarlo e andare oltre.
Tutto è portato all'eccesso nelle relazioni: l'amicizia diventa amore che diventa amore cieco che diventa amore violento.
Il dispetto diventa rancore che diventa odio che diventa "CIAOIOVOGLIOUCCIDERTIADESSO" *C*.
Non ci sono mezze misure, le sfumature non mi interessano in questo quadro. L’epico funziona perché è così: è Apollo che uccide Marsia perché suona meglio di lui, Aphrodite che perde la sua bellezza per il dolore della morte di un mortale. Non c’è spazio per il non detto.
Ovviamente è una scelta stilistica che può piacere come non piacere.
Tuttavia alla luce di questo sì, è necessario che tutti zompino.
Altrimenti sarebbe un eccesso che non diventa eccesso: ovvero un manierismo.

Alla luce di tutto ciò, mi è chiaro come per te Gano non sia un coglione, ma semplicemente si muova all'interno delle regole che hai dettato, esattamente come fanno tutti gli altri.

Eh. Già.

Carlo e Gisela: era essenziale e? Perché anche lì, diamine, è un incesto.

La coppia Carlo e Gisela era “canon”, sì. Nella leggenda francese, in realtà, lei si chiama Berta, ma non penso che il nome influisca sui fatti. (Gisela - o Gisla - era un’altra sorella di Carlo, non la madre di Rolando, ma mi piaceva di più). La leggenda racconta del rapporto incestuoso e segreto tra i due fratelli di stirpe reale, che porta alla nascita di Rolando, futuro paladino. Un bambino che a soli cinque anni, in fuga con il padre adottivo nelle terre italiche, uccide un orso che si para sulla strada di suo zio Carlo, giunto dalla terra dei Franchi per riportarlo con sé. …è un eroe medievale. Comunque sì, l’incesto è canon. Ma anche se non lo fosse? Sarebbe un problema?

Canon o non canon, non si tratta di un problema, quanto di una questione delicata.  Il fatto è che si comincia a leggere e BUM!, a pagina DUE  viene sbattuto in faccia non solo un adulterio, ma pure incestuoso. E poi per tutto il resto del romanzo rimane lì, ad essere osservato da fuori come un dato di fatto. E' chiaro non sia questo il fulcro del romanzo, e però altrettanto  è chiara la sua crucialità nel definire poi il rapporto di Carlo e Rolando, e pure quello di Gano verso entrambi: perciò capisco non potesse essere eliminato. Ma un po' di spazio in più forse bisognava darglielo.

un argomento delicato?
Sì, ma meno di quanto pensi: il matrimonio tra consanguinei, specie tra cugini, era assolutamente incoraggiato per non “annacquare il sangue” ed stato così fino al secolo decimonono.
Io non ho sbattuto nella seconda pagina un amore incestuoso, né un adulterio: c’era solo una storia d’amore. Non mi sono dilungata in particolari scabrosi perché non mi interessavano e ritengo non siano importanti. Lo saranno invece quando dovrò parlare di Milone, tradito con coscienza, o di Gano, ferito. Qui invece si parla di Carlo e Gisela e del loro amore che non tiene conto delle barriere sociali di nessun tipo, loro malgrado.
Personalmente, rileggendo, non mi sembra fonte di scandalo in alcun modo, né una situazione da prendere con le pinze: è ciò che è accaduto, non c’è altro da dire.
Gli argomenti delicati sono altri: a questo punto ti auguro di non leggere il prequel, dove la violenza sessuale e psicologica ai danni di un bambino saranno trattati senza glissare, anche se con delicatezza.
E’ un lavoro estremamente faticoso e feroce che mi sta causando notti insonni, ma che devo fare per far comprendere la psicologia di un protagonista bambino pazzo. Non temo di affrontarlo con scarsa delicatezza: ho l’onere terribile di potermi avvalere dell’aiuto di una donna abusata nella sua infanzia e dei suoi ricordi penosi nella stesura del romanzo, che lavora con me per rompere un muro di silenzio omertoso o la fin troppa compiacenza della descrizione quando si affrontano determinati argomenti. E’ lei a guidarmi dove devo descrivere con durezza e a fermarmi dove è meglio lasciare il buio.
Ecco, penso che QUESTO sia un argomento delicato.
Non l’amore incestuoso, sì, ma perfettamente adulto e consapevole di due fratelli.

Ci sono talmente poche donne che quelle che appaiono o vengono menzionate mi sembrano fuori luogo. La più fuori luogo di tutte: la sorella di Oliviero. Come posso credere che Rolando le voglia bene (o la ami addirittura!) dopo che per trecento pagine passa da un uomo all'altro?

Alda non è fuori luogo. Alda è una fanciulla che appare come deve apparire nella visione di un uomo del duecento: la donna angelicata, che appare così e solo così dalla scuola siciliana a quella dello Stilnovo. È uno stilema antico che ho usato e rielaborato, proprio perché in quel sangue, in quella carnalità in disfacimento l’immagine di Alda appare come un cammeo fuggevole, come una visione lontana. Come l’angelo che alla fine della Chanson viene a sollevare il viso di Rolando e a portare in Paradiso Durendal. Ho lasciato perdere l’angelo, nella mia elaborazione, ma l’icona sacra torna con Alda. L’amore di Rolando per Alda risponde a questo ideale. Non è più carnale di quanto lo sia stato quello di Dante per Beatrice. Tutte le donne del mio romanzo sono “strane” nel loro apparire. Alda è un cammeo, Gisela è uno spettro mentale del fratello, Isabeau è una puttana che guarda da lontano. Non sono misogina: solo, le donne è giusto che stiano a margine di una vicenda dove l’orrore e il dismembramento della dignità cavalleresca sono tipicamente maschili. Quelli che riguardano la femminilità sono diversi e si sviluppano in maniere differenti, almeno per quanto mi dice la mia esperienza.

Dato che vuoi trattare di epico, struggente, estremo... l'ironia e l'umorismo che ogni tanto spruzzi qua e là mi paiono allora un controsenso.

Come si può pensare a un controsenso? Il Don Chisciotte è totalmente ironico, sarcastico, crudele nel suo dileggiare protagonisti e comprimari. Ariosto si prende libertà satiriche ben peggiori di quelle che io ho azzardato. Il Pulci è stato il primo a ironizzare sulla figura dello stesso Rolando e Boiardo ha messo in mutande l’intera corte carolingia per il divertimento dei suoi lettori. Se vogliamo andare più indietro, pur nel pathos e nel dolore dei guerrieri dell’Iliade, come si può non ricordare la bella (e divina!) Aphrodite che si afferra le vesti e fugge nel pieno della battaglia, minacciata dai soldati? Una dea che offre uno spettacolo deliziosamente comico. A parte questo, il mio racconto non è un poema epico: certamente ho cercato di riproporne topoi e stilemi, ma per creare qualcosa di nuovo. Ancora una volta il risultato può piacere o non piacere e, naturalmente, che non ti piaccia è sacrosanto: ognuno ha i suoi gusti e grazie agli dèi è così. Ma affermare che l’ironico non trova posto nell’epico significa non conoscere la letteratura del nostro paese e non solo. Allo stesso modo il linguaggio: così come nei poemi epici vale la legge del contesto e del personaggio. Un paladino usa in linea di massima un lessico e un registro di un certo livello, ma è una persona, non una macchina. Gisela, principessa più spirito che carne, non userà facilmente la parola “idiota”. Ma cosa impedirebbe di farlo a un paladino impegnato in una mischia da taverna? Tra l’altro il basso linguaggio non è per nulla disdegnato dai medievali stessi, né dai rinascimentali: dovresti leggere come si esprime il buon Rinaldo nei cantari del trecento in prosa. Quel ragazzo non frequenta solo contesse.

La morte di Moriana invece… ROTFL. Dai, ma da dove ti è uscita? Capisco i vampiri e capisco la follia omicida di Rolando, però dai!

Vampiri? LOL. Non c’è punto più tenero in un corpo umano della zona tra il collo e il mento. Non ho enormi conoscenze anatomiche, ma lo studio dell’arte marziale che pratico mi dà la netta certezza che si possa penetrare una gola umana con due dita dalla distanza di pochi centimetri. Figurarsi cosa può fare uno psicopatico con una buona dentatura

Parli di armi d'oro e ingioiellate, ma non erano inefficaci e pesanti? E poi tutte le armature infighettate... giustamente, andavano a combattere e morire, e perciò avevano bisogno della massima protezione possibile, all'estetica avranno fatto caso fino a un certo punto. Sicuramente le insegne e i colori, ma in una combinazione efficiente anche dal punto di vista della salute personale.

Durendal era d’oro, forgiata dall’Arcangelo Michele in persona secondo alcune leggende, dall’imperatore del lontano regno del Catai secondo altre. In un contesto più realistico la si può pensare laminata, ma di ferro pesante, ottimamente in grado di sostenere un assalto.
Dopo l’anno Mille, nella fattispecie, la presenza dell’oro sulla spada di un guerriero d’alto rango viene ritenuta indispensabile. L’oro è il metallo che per vie simboliche si collega al sole, al retaggio pagano – ma classico e quindi rielaborato nel Cristianesimo – dell’apollineo e, quindi, del divino. Un’arma dorata significa un’anima dorata, un’anima angelica: degna di un difensore del Cristo.
Per quanto riguarda le spade storiche: erano PIENE di gioielli. Il fatto che per lo più venissero perduti durante la battaglia significava ben poco: sovrani e feudatari erano abbastanza ricchi da permettersi di sostituirle, pronte per essere perdute la battaglia seguente.
Di solito la gemma più grossa era incastonata all’apice dell’impugnatura, oltre l’elsa. La sua stessa posizione permetteva la compattezza dell’arma, in quanto funzionava come punto di bloccaggio per il codolo, ovvero quella linguetta di metallo che prolungava la lama e che andava a incastonarsi dentro l’impugnatura. Il manico pullulava di gemme in maniera direttamente proporzionale alla levatura sociale del suo proprietario.
…le armi non erano leggere. Hai mai visto uno spadone medievale in un museo? Ce ne sono di fornitissimi, soprattutto in Francia. Sono praticamente delle clave, le spade cominciano ad alleggerirsi dopo tra il Trecento e il Quattrocento, con l’avvento dell’Umanesimo e l’importanza crescente delle armi cerimoniali.
Se si era un guerriero così sfigato da non avere i muscoli necessari a sollevare la propria spada, per quanto riguardava il re si poteva tranquillamente essere mandati in pasto al nemico.
In un immaginario epico, le cose si fondono: la spada è una parte stessa del Paladino. Pensa a Excalibur, incastrata nella roccia: nessuno riesce a estrarla o sollevarla, ma Artù sì, ed è poco più di un bambino. Oppure all’arco di Odisseo, che fior di guerrieri da tutta la penisola non sono in grado di tendere mentre lui, ormai anziano e provato dalle peripezie, tende e incocca come fosse fatto di piume. Questo perché mitologicamente l’arma si adatta a chi la possiede, diventa come il suo stesso braccio.
La cosa secondo cui “andavano a combattere e morire, e perciò avevano bisogno della massima protezione possibile, all'estetica avranno fatto caso fino a un certo punto”, mi fa malissimo. Comunque il discorso è complesso: l’estetica non era importante.
Era IMPORTANTISSIMA (solo il feudalesimo giapponese è riuscito ad arrivare oltre, facendo truccare e imbellettare i suoi guerrieri).
Questa era gente che andava a combattere e morire.
Appunto.
Nella nostra società la morte è la fine di tutto, tanto che si arriva al problema opposto, nell’esaltare la vita come valore più importante a discapito di altri che, paradossalmente, ne aumenterebbero la qualità.
In una società medievale, le cose cambiano: la vita e la morte sono fuse in un tutt’uno, soprattutto per chi va a combattere. Ma non solo: su dieci bimbi nati in un nucleo familiare ne sopravvivevano tre – e questo accadeva fino un paio di secoli fa; guardare negli occhi inavvertitamente un feudatario poteva costarti la vita su due piedi, se eri un servo della gleba; tra due pari grado una parola volata di troppo significava lavare l’ingiuria col sangue e uno dei due se ne andava all’altro mondo senza passare per il via.
La situazione non è: “oh, forse oggi muoio”, ma è “oggi sicuramente ci lascio le penne”. Con una forma mentis di questo tipo, il guerriero ha come unica preoccupazione non quella di sopravvivere (inevitabilmente quelli che in battaglia si preoccupano di stare in difesa sono anche i primi a tirare le cuoia), bensì quella di fare bella figura.
Un guerriero che muore in battaglia per Cristo, nell’ottica teocentrica, davanti a Cristo arriva di volata. Con che fegato ci si presenterebbe davanti al Dio per il cui onore e splendore si è morti coperti di stracci? Ci si vuole andare al massimo dello splendore, dal momento che è l’onore massimo che può venirti concesso.
Si tratta di mentalità diverse: non si può giudicare un uomo medievale con la mentalità di persone del XXI secolo. Sarebbe sleale.